Vietnam, quello che È Stato

Ho Chi Minh, Museo della Guerra obitorio di storie

Non serve avere studiato la storia, per sentire il respiro venire meno e la saliva azzerarsi, seccando la gola, quando entri nel Museo della Guerra di Ho Chi Minh.

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Niente fronzoli, nessun eccesso.

Solo, il racconto, freddo, di Quello che È Stato.

Gelida cronaca.

Un resoconto per scatti, dalle didascalie di poche parole, che bloccano il fiato.

Niente che faccia tendere da una parte o dall’altra. Niente che influenzi l’opinione di chi guarda.

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Solo, una relazione rigorosa di Quello che È Stato.

Cruda come la carne al macello.

Obitorio aperto al pubblico, dai cadaveri di storie mai putrefatte. Passato in perenne decomposizione.

Di fronte a un’esposizione tanto distaccata ed empirica, le spiegazioni vengono meno.

Oltre il bisogno. Abbandonato l’istinto.

Calcoli razionali e diabolici emergono da ogni dettaglio.

Non serve studiare la storia per capire il perché di una guerra. Per capire il perché di ogni guerra.

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Un uomo privo di braccia si avvicina con passo assai incerto.

Gli occhi chiusi, quasi incollati, mi fanno tornare alla mente la copertina di un libro letto troppi anni fa. Storie di donne dalle storie sfregiate e dal volto sfigurato dall’acido.

‘Da dove venite’, chiede l’uomo dagli occhi incollati, nel suo poco inglese appreso in chissà quale incontro. Imposto da chissà quale scontro.

Prega di dargli qualcosa e s’allontana trascinando quel che è rimasto del suo corpo, vessato dalle corazze dalle bocche infuocate, che incorniciano e spengono questa giornata di sole.

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Pochi passi tra i ferri e le armi.

L’uomo privo di braccia si avvicina di nuovo con passo assai incerto.

Di nuovo, chiede da dove veniamo.

Gli occhi chiusi, l’inglese dubbio. La mente persa.

La guerra gli ha portato via gli arti, gli ha rubato la vista, gli ha cancellato la memoria.

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Saliamo gli alti scalini e le foto stampate in grande formato ci raccontano la storia dell’uomo privo di braccia, di vista e di mente.

Racconti di chi, come lui, ha visto la propria vita stuprata e razziata con la violenza che non ha ragione. Violata e scippata con il freddo calcolo di cui solo l’uomo è capace.

Il silenzio basta da solo a condividere con i nostri compagni di viaggio le emozioni senza voce degli scatti appesi in questa stanza dalle pareti arancioni.

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Tutt’altro che caldo, questo Orange le cui storie inaridiscono la gola e mettono i brividi.

Il sole s’annebbia, oltre le vetrate della scalinata dagli alti gradini, che scendiamo senza forze, nel silenzio del Museo e nel frastuono dei pensieri.

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